EFFETTO DOMINO

da | Feb 15, 2017 | formati alla vita | 0 commenti

maxresdefaultEcco il nuovo appuntamento con la rubrica “Formati alla vita”! L’accento della parola “formati” mettetelo dove preferite, di certo il nostro desiderio non è fare una lezione di grammatica quanto quello di trasmettervi il bene che nasce quando una parte di te (del tuo tempo, delle tue capacità) riesce a donarsi gratuitamente. GRATIS parola oggi profondamente abusata dalle strategie di marketing per cui, quando la sentiamo, pensiamo sempre ci sia una fregatura dietro. Non è così, per lo meno al di fuori del mercato, nella vita vera, accade spesso il contrario. Quando fai qualcosa gratuitamente, senza aspettarti nulla in cambio, capita che ti ritrovi più ricco di prima, e allora sì che i conti non tornano, ma il primo a trarne beneficio sei tu. Noi del Pog abbiamo voluto intervistare Giorgia che ha visto e vede ancora oggi dopo anni, l’effetto “domino” che quel gesto gratuito iniziale ha innescato nella sua vita e in quella delle persone incontrate.

Che tipo di esperienza di volontariato hai vissuto?

“Ho fatto due esperienze nella mia vita, molto differenti tra di loro. La prima è stata in una mensa per i poveri allestita in una parrocchia del Tufello, ogni sabato preparavamo la sala con i tavoli e servivamo il pranzo agli ospiti. La parrocchia era attrezzata con una cucina di tipo industriale, seppur piccola, e si riusciva a dare il pranzo a circa un centinaio di persone. Poi mettevamo tutto a posto. E’ stato il mio primo contatto con il disagio sociale ed economico, esperienza umanamente fortissima, anche per la varietà di persone che venivano a mangiare, parecchi immigrati, ma anche tanti anziani del quartiere, con mezzi di sostentamento minimi, in cerca anche di compagnia, oltre che del cibo. Alcuni mangiavano tantissimo e tanti portavano via gli avanzi, sono cose scioccanti per chi, molto giovane all’epoca, non aveva conoscenza di cose simili. La seconda esperienza l’ho fatta grazie ad una Onlus che si occupava di assistere bambini e ragazzi sieropositivi e le loro famiglie. Sono entrata in un programma cosiddetto di affido familiare, rivolto sia a famiglie tradizionali che a persone singole come me all’epoca. Dopo due anni di training con incontri settimanali, mi presentano una ragazza di 17 anni che abitava in una casa famiglia gestita dalle suore, a Roma. Lei ha una storia terribile alle spalle, orfana di madre, morta di Aids, padre ignoto, malata di epatite B, con una sorella sieropositiva e un patrigno molesto. Con molte difficoltà, anche con me stessa, riesco a penetrare nel muro che Laila aveva alzato verso l’esterno e le resto vicina in tutte le fasi della sua vita successiva, dopo l’uscita obbligata dalla casa famiglia a 18 anni. Oggi, dopo 14 anni, ci sentiamo spesso e ci vediamo quando possibile. Laila è diventata una ragazza forte e indipendente, si è lasciata alle spalle la pessima eredità familiare e, grazie alle suore, ha saldi principi morali, un mestiere in mano ed è guarita definitivamente dall’epatite. Si è salvata, non come la sorella che è morta a 21 anni per complicazioni dovute alla malattia. Sono stata e sono una sorella maggiore, una zia… ed è la cosa migliore che ho fatto nella mia vita, dopo forse mio figlio. Mi sto emozionando mentre scrivo…

Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?
Una naturale attitudine ad aiutare chi ha bisogno, che ho scoperto e coltivato da grande, ereditata in parte da mio padre (anche mia sorella è così).

L’episodio che ti ha colpito o segnato di più?
Mi ricordo bene molti momenti del mio percorso con Laila, dal nostro primo incontro nel giardino della casa famiglia, il suo sguardo basso, poca voglia di parlare, molto incupita, a quando andai a casa del patrigno a Primavalle per la prima volta, quando lei tornò a vivere lì dopo la casa famiglia: un palazzo fatiscente e sporco, molto degrado all’esterno e dentro casa, la diffidenza del patrigno, e poi il funerale della povera sorella.

Come ti ha cambiato la vita il volontariato?
Mi ha insegnato tante cose, a non avere pregiudizi di alcun genere, a godere infinitamente nel fare del bene agli altri, perché lo sto facendo a me stessa, a perseverare nelle difficoltà e mi ha anche fatto rivalutare la Chiesa cattolica, quella che opera sul campo, come le suore della casa famiglia e i volontari della parrocchia.

In pieno stile Pog Giorgia ci ricorda come sia importante conoscersi per poter dare il meglio di sé. Lei ha saputo sfruttare quest’attitudine naturale di aiutare chi è nel bisogno, avrebbe potuto benissimo risparmiarsi ma ha scommesso sull’intuizione che un suo talento potesse servire, e così è stato. Laila, la ragazza con cui ha fatto questo percorso, ha “mentito la genetica”, afferrando il bene che le veniva incontro ha cambiato una sorte già segnata. E ancora oggi dopo anni, da un piccolo gesto ne scaturisce un effetto domino che smuove tante coscienze, oggi la mia che scrivo e forse anche quella di qualcuno che legge. Come stiamo usando le nostre capacità? Le stiamo usando solo per noi o le sfruttiamo al cento per cento per aiutare anche chi ha bisogno? Giorgia ci dice che non c’è nulla da perdere, anzi, è tutto guadagnato!