ESSERCI O NON ESSERCI…QUESTO E’ IL PROBLEMA

da | Mar 29, 2017 | formati alla vita | 0 commenti

DETROIT - NOVEMBER 20: A pedestrian walks by graffiti on a downtown street November 20, 2008 in Detroit, Michigan. An estimated one in three Detroiters lives in poverty, making the city the poorest large city in America. The Big Three U.S. automakers, General Motors, Ford and Chrysler, are appearing this week in Washington to ask for federal funds to curb to decline of the American auto industry. Detroit, home to the big three, would be hardest hit if the government lets the auto makers fall into bankruptcy. (Photo by Spencer Platt/Getty Images)

“Essere o non essere…to be or not to be”. Se lo chiedeva Shakespeare per bocca di Amleto…oggi ascoltando Matteo e la sua esperienza di volontariato, ci troviamo di fronte a un interrogativo simile: “ESSERCI O NON ESSERCI?” questo è il vero problema.

Che tipo di esperienza di volontariato hai fatto e cosa ti ha spinto a fare questa scelta?
Nella parrocchia che frequentavo c’era un piccolo gruppo di ragazzi che il sabato si incontrava per andare alla Caritas di Roma. Io li prendevo un po’ in giro perché mi sembravano quelle attività da bravi ragazzi di cui non mi sentivo assolutamente parte. Un giorno però accettai l’invito di Chiara a partecipare a questo servizio, un po’ perché mi sembrava brutto dire di no, e un po’ perché in me c’era il desiderio di capire cosa attirasse tutti quei giovani lì.

La spinta appunto non viene da nessuna motivazione nobile. Percepivo nelle mie giornate un senso di incompiutezza, come dire “tutto qui?”, le giornate sono solo questo? Un susseguirsi di emozioni alle quali non sai dare un ordine? Ormai però mi ero abituato a questa mediocrità. Guardavo i miei coetanei della parrocchia, erano felici di fare questo servizio e ogni volta avevano qualche cosa da raccontare e di cui scherzare, io che non partecipavo me ne sentivo un po’ escluso, e li guardavo dall’alto in basso, come ingenui che ancora vivevano in un mondo ovattato.

Dalla prima volta in cui andai alla Caritas quel sabato pomeriggio, accompagnati da Don Daniele, mi resi conto che sui miei compagni mi sbagliavo. Arriviamo a Termini, nelle periferie della periferia, perché le sale della Caritas sono situate nel retro della stazione. L’impatto? Sconvolgente. Devi prima passare per marciapiedi sudici dove l’aria sa di piscio e dove a ogni passo che ti avvicina a quei cancelli ti senti meno sicuro. Per me che ero un po’ ribelle, che amavo il rischio, la cosa cominciava a farsi interessante. È incredibile come in un luogo centrale come Termini dove la gente è continuamente di passaggio, si consumi una realtà così estrema. Nello stesso luogo passano signori in giacca e cravatta che entrano nel loro taxi prenotato e contemporaneamente giovani, donne, anziani o uomini di mezza età che a stento si tengono in piedi, non solo fisicamente, alcuni li vedi che non reggono il peso della vita.

L’episodio che ti ha colpito di più?
Direi tutto. Può sembrare assurdo, ma questa è già la prima particolarità. In quelle ore a servire, tutto mi sembrava avere senso e tutto mi sembrava essere importante. Se nelle mie giornate percepivo quella mediocrità…una volta che varcavo la soglia dei cancelloni della Caritas, tutto mi sembrava avere senso. Il servizio lì dentro variava, una volta eri all’accoglienza a registrare le persone che entravano, un’altra volta a servire le porzioni di cibo, dei giorni invece passavi ore a pulire vassoi o capitava anche di stare in sala, e lì devi parlare con i poveri, sederti con loro, imparare a capire se è gradita la tua presenza o meno, se è il caso di dire quella parola in più o se è necessario stare solo in silenzio. Quando sei faccia a faccia con un povero tutto crolla, perché non conta più quanto hai studiato, non conta più come ti senti, non conta più quanto sei capace, quando guardi quegli occhi, quei volti, comprendi che fuori il mondo gira male. In quei momenti non conta nemmeno chi sei, conta solo se ci sei. Io parlando con un signore sulla sessantina ho realizzato che l’unica cosa importante in quel momento era esserci. Lì ho capito che molti giorni volano via senza avere senso perché fai le cose, studi, esci, vedi gli amici, ma è come se non fossi presente, la testa è altrove. Mentre parlavo con quel povero che non aveva niente ma era felice come una pasqua, e non so perché, ho capito che il motivo per cui le cose nella mia vita non avevano senso era perché le davo per scontate, le facevo per routine ma era come io se io fossi assente.

Come ti ha cambiato il volontariato?
Il servizio è durato un anno circa, ma già dai primi incontri mi sono sentito cambiato. Sono tante le cose che sono successe. La prima è aver cambiato idea sui miei compagni di parrocchia, accorgermi che sbagliavo e che non sempre è tutto come lo vediamo noi, a volte dobbiamo avvicinarci di più alle cose e alle persone per capire, invece ci difendiamo dalla paura di cambiare, di sbagliare. L’altro modo in cui mi sono sentito trasformato da questa esperienza è che mi sono conosciuto di più, ho visto che mi piace parlare con le persone, che sono capace ad ascoltare. Alla Caritas ho parlato con tanta gente, molti erano padri di famiglia, separati, uomini pentiti dei loro errori ma che non potevano più fare nulla,venivano a mangiare lì perchè a fine mese non ci arrivano. Altre volte vedi donne consumate dal dolore, fisicamente, la cui identità si è persa e che hanno perso qualche rotella. Poi ci sono gli stranieri, i matti, i vecchi, i punk a bestia. Forse la cosa importante è esserci e basta, entrare in quella sala dove la sofferenza si taglia a fette per quanto è concentrata, e fartene carico. Anche solo per quelle ora. E’ questo che mi ha cambiato, per essere felici non serve nulla, tocca rispondere all’appello della vita che ogni giorno ti chiede se ci sei veramente o meno, e poi che la sofferenza non fa poi così schifo, a volte fa paura e schiaccia, ma altre volte vedi che ti aiuta a capire tante cose, a essere più vicino ad un altro, anche sconosciuto, a volte il povero sei tu che non ti accorgi di quello che hai e di quello che sei. Io ero povero perché non sapevo chi ero.

Ringraziamo Matteo che ci ha travolto con la sua esperienza, a me per prima. Mi chiedo e giro la domanda a voi: Come sto oggi nella mia giornata e nei miei impegni? Ci sono distrattamente o sono presente? Permetto alla realtà di cambiarmi o sono chiuso nella mia corazza di convinzioni e certezze? Mi basta tutto questo? Ai posteri l’ardua sentenza…

Foto presa dal sito: https://theredphoenixapl.org/2011/11/08/poorest-poor-in-us-hits-new-record-1-in-15-people/